Ironici, eh? :P
Spesso mi è stato chiesto, da padri filosofi e amiche/i: ma c’è un limite all’amore? O "voi non monogami" siete proiettati verso l'infinito... e oltre?
Ironici, eh? :P
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È da un po’ che ci penso, e devo dire che non è facile capire cosa faccia parte della nostra identità, e cosa no.
Sono arrivata alla personalissima conclusione che è tutto molto relativo. Bella scoperta, eh? :D Ma non è così scontato! Questa convinzione io credo ce l’abbiano inculcata in tutti i modi possibili.
Quante opere struggenti ho letto, che finiscono con lui&lei che si pugnalano-avvelenano-sparano a vicenda per rendere eterno il loro amore. Come se il sacrificio fosse un atto di purificazione degli intenti; come se voler vivere – e per di più vivere felici – fosse già in partenza un’intenzione abbietta e immorale, da purificare appunto con la sofferenza, il lavoro, lo sforzo. Insomma, se io per te sono stata una musa, un’ispirazione, una persona che ti ha spinto a fare cose migliori e più alte, non puoi smettere di amarmi mai. Neppure quando tutti questi slanci positivi si trasformano in una grigia apatia e non abbiamo più nulla da dirci e da darci. Amore eterno… se no non era amore. Amore che va oltre i problemi e i nuovi bisogni… se no non era amore. Amore che ti porta a mettere l’altr* davanti a te stess*… se no non era amore. Nulla si crea e nulla si distrugge... La mia amica J sembra aver preso spunto dai chimici, per la sua ultima perla che ora fa da titolo al mio post.
Possono davvero non finire le relazioni? Anche quando ci si dice addio in maniera definitiva e certa? Spesso si è messo in discussione che la nostra esistenza sia semplicemente data da un fascio di neuroni e dalla consapevolezza di percepirci come vivi. Alcuni filosofi hanno ipotizzato che la vita vada oltre la propria cognizione, certi registi hanno anche azzardato l'ipotesi che perfino nella morte ci si possa percepire come vivi, e non si enumerano i poeti che sostengono che si possa tenere qualcuno in vita tramite il ricordo. Allora perché non pensare che anche le relazioni posso restare eterne, finché si ha il ricordo di esse e soprattutto producono effetti in noi? Vi ricordate le poli-chiacchiere radiofoniche? Bè, eccovi il sunto di quel nostro primo podcast.
Il sociologo John Alan Lee nel 1973 ha tentato di riconoscere 6 stili d'amore: l'amore romantico, l'amore giocoso, l'amore amichevole, l'amore geloso, l'amore pragmatico, l'amore altruistico. Lo psicologo americano Robert Sternberg, più recentemente, afferma come servano 3 componenti per mantenere una relazione amorosa salda: la passione, l'intimità e il legame. Lui prende questi concetti in prestito dal mondo greco, dove erano conosciuti come eros, filia ed agape. Mio padre mi ha fatto un discorso illuminante, qualche tempo fa.
Tutto il gruppo poly era miracolosamente radunato a Bologna, e con la scusa di riunioni redazionali e scemenze varie ne abbiamo approfittato per celebrare il vero scopo del ritrovo: mangiare e bere con amici e amiche che di solito sono a Roma, Milano, Napoli o in vari angoli della Penisola. Mio padre, saputa della nostra cena, mi ha chiesto in quanti fossimo. Io, un po' sorpresa, gli ho risposto 21 persone. E lui: -Ah, 21? Solo 7 coppie? Chi non conosce Beautiful, la celeberrima telenovela che da oltre 26 anni ci allieta con matrimoni, divorzi, inciuci e complotti? Nessuno, io temo.
Ebbene proprio ieri, la mia amica J mi ha portata a riflettere su un aspetto del poliamore che non avevo mai considerato: anche noi alla fin fine siamo un pochino... poliutiful! La mia amica J mi ha detto di aver finalmente capito la differenza tra innamoramento e amore.
Sono due sentimenti ben diversi, e su questo non ci piove. Ma neppure io avevo ben chiaro cosa significasse l'uno e cosa l'altro, fenomenologicamente parlando. Lei si è accorta di cosa sia l'amore con il suo amico omosessuale (anche lui un J, pardonne moi) con cui posso ben dire che condivida molto più che una semplice amicizia. Di lui ama tutto. Ma non nel modo imbecille con cui si ama quando siamo innamorati (avete in mente quando si tace sulle peggio cose, e poi dopo anni diciamo "ma come facevo a sopportare quell* lì"?) Se c'è una cosa che mi ha sempre affascinata, è la differenza tra sesso e genere.
Il sesso riguarda le differenze biologiche ed anatomiche tra maschio e femmina, il corredo cromosomico, la forma dell’apparato sessuale. Il genere invece è un processo di costruzione sociale e culturale, ed indica la rappresentazione, la definizione e l’incentivazione di quei comportamenti che danno vita allo status di uomo/donna. Il genere dunque è appreso, e comporta una serie di scelte. Alcune di queste scelte ci sembrano semplici e libere: le donne decidono quasi quotidianamente se indossare gonna o pantaloni, ad esempio. Altre decisioni neppure le prendiamo in considerazione, tanto diamo per scontato certe “regole”: anche se la legge non lo vieta, nessun uomo italiano si chiede “gonna o pantaloni oggi?”. Riassumendo: io sono una donna, esattamente come quasi altri 4 miliardi di persone al mondo. Ma come scelgo di esprimere il mio essere donna è qualcosa di unico; un insieme dei miei bisogni, aspettative, rappresentazioni e ideali della femminilità, che mi sono costruita sulla base del mio carattere, della mia storia, della mia società, e delle persone con cui mi sono relazionata. Perché questa premessa? Perché mi piace pensare che per le relazioni affettive sia lo stesso. |